Freud e le donne.

A proposito di donne: in questa settimana si è parlato tanto di stupro, tanga, e assoluzioni. In questi ultimi anni, fortunatamente, ci si è sensibilizzati a questo argomento e la prima cosa da fare alla minima violenza domestica e non, seppur blanda è DENUNCIARE. DENUNCIATE, perché chi vi ama non vi picchia.
In occasione della giornata di ieri, 25 Novembre, ormai contrassegnata da qualche anno come la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, mi viene da citare uno che alle donne, seppur indirettamente e di contro alle sue idee sull’essere femminile in quanto tale, ha dato nuova luce: Freud.
Freud uno dei primi medici a dar spazio alla donna nella sua interezza, non come oggetto di diagnosi e decorsi ma come soggetto pregno di una coscienza. Atto rivoluzionario, in un mondo antico che voleva la donna ridotta al silenzio; e adesso? Qualcosa è cambiato, ma qualcuno ancora no. È importante rendere il merito a chi, nel suo piccolo, ha provato a cambiare le cose facendo tanto.
Freud non è da considerarsi un estimatore del femminismo, nè tanto meno un teorico di questo movimento. Non a caso, una delle sue citazioni più usate ed abusate che spesso troviamo svolazzanti su bacheche social di alcune appartenenti alla categoria del gentil sesso, convinte di essere talmente ingarbugliate da non poter essere comprese è la seguente:

”La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere, è questa: che cosa vuole la donna?”

Freud e la concezione femminile.
E’ risaputo che Freud considerasse le donne inferiori all’uomo, passive ed incapaci di cambiamento. Ciò che preme ricordare è che queste idee vanno contestualizzate: in primis prendendo in considerazione l’epoca storica in cui Sigmund viveva, ed, in secondo luogo, considerando il suo retaggio culturale e gli studi intrapresi. Uno degli assunti per la quale Freud, probabilmente, riteneva la donna inferiore all’essere maschile è quello che poi diventerà l’assunto base di tutta la psicoanalisi e della teoria psicosessuale del maestro: ”L’invidia del pene”. Quest’ultimo è il concetto psicoanalitico classico per eccellenza, dove poggia tutta la teoria sessuale che, in seguito, darà nuova luce, paradossalmente alla donna come essere dotato di una propria coscienza e sessualità. Questo assunto base della psicoanalisi classica non è altro che il senso di angoscia sperimentato dalle bambine quando si accorgono di non possedere l’organo fallico. Questa presa di coscienza, era un momento decisivo per Freud, in quanto si attuava il passaggio verso una sessualità più cosciente oltre che verso la struttura della propria identità di genere. Nella teoria freudiana, infatti, questo per una bambina è il momento della transazione, che sancisse il passaggio dall’attaccamento materno, alla competizione con la madre stessa per il raggiungimento dell’attenzione e dell’affetto del padre. Tuttavia,il concetto classico su cui poggia tutta la psicoanalisi sarà oggetto di discussione dei prossimi articoli. Per questa teorizzazione che, ai tempi, parve rivoluzionaria ed alla stregua dell’eretismo, Freud subì numerose critiche non solo da colleghi conservatori ma soprattutto critiche femministe, che provennero oltre che da colleghe dedite alla disciplina psicoanalitica, anche dalla famiglia stessa. Sophie Freud, nipote di Sigmund, dichiarò che le idee del nonno non solo fossero datate e superate, ma persino misogine!
Dobbiamo rendere atto ad una personalità analitica ed eclettica come quella di Freud che, l’epoca in cui ebbe il coraggio di esporre e studiare questa teoria eccentrica per i tempi, era un’epoca che si portava ancora gli strascichi dell’era vittoriana, dove la donna era considerata un mero contenitore utile alla procreazione. Un aneddoto interessante degli usi vittoriani, era proprio quello che parlava dell’igiene della donna; le donne, quando si lavavano, dovevano passare velocemente uno straccio sulle parti intime, senza soffermarsi o indugiare. Ciò sarebbe risultato impuro, peccaminoso, becero. La donna non poteva provare piacere, non era contemplato, non era previsto da una società fatta di uomini che la usavano solo per progredire una stirpe.
Freud era figlio del suo tempo; eppure, nonostante le idee, paradossalmente è stato il primo medico a dare alla donna una propria autonomia, a considerarla nella sua interezza e nella sua umanità; Freud, non considera più la donna come oggetto di diagnosi o di decorso medico di una patologia. La considera un soggetto con una propria natura, una natura che, come quella dell’uomo comune, le fa provare gioie, dolori, e sì, anche godimento nell’atto sessuale.
E’ proprio grazie a lui che si è iniziato a parlare di sessualità femminile,in un mondo dove ai tempi, la sessualità per la donna non solo non era contemplata ma era vista come tabù, peccato, e come un qualcosa di ininfluente a cui dare adito.

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