Interpretazioni psicoanalitiche: Psicologia di Adolf Hitler

E’possibile dare una diagnosi psicologica esaustiva sul carattere, la brutalità, e la malvagità di Adolf Hitler, uno degli uomini più inquietanti del secolo scorso? Numerosi psicoanalisti famosi hanno tentanto di tracciare un quadro psicologicamente significativo ed universalmente condiviso, da Freud a Fromm allo studio minuzioso di Langer. Ognuno di questi studi intrapresi nel tentativo di ricostruire un profilo psicologico valido ed universalmente condivisibile, ha come assunto di base l’idea che il Führer fosse stato condizionato pesantemente nella sua infanzia, tanto da far ricadere il suo modo di fare e gran parte della sua psicologia a dei pesanti condizionamenti dovuti a dei problemi legati alla sfera familiare. Attraverso il metodo terapeutico psicoanalitico si riuscirono ad individuare i primi aspetti della personalità hitleriana.
La pratica psicoanalitica consiste, in breve, nell’effettuare la ricerca da parte dell’analista di quei ricordi che al paziente risultano talmente dolorosi da essere stati rimossi, e di cui si vedono, all’esterno, solo i sintomi chiamati ‘‘nevrosi”. Tramite il metodo delle libere associazioni, il paziente racconta liberamente ogni immagine o pensiero che in quel momento gli balena in mente, senza nessun controllo; l’analista cerca di interpretare il materiale fornito dal paziente,scavando su ricordi lontani legati, principalmente, alla giovinezza del soggetto. Solo se i ricordi vengono riportati in superficie possono essere elaborati dall’analista e resi innocui. Secondo gli assunti della psicoanalisi classica, il carattere e la personalità dell’individuo, sono il prodotto di un processo di costruzione/evoluzione che inizia dall’infanzia. A quanto pare, l’infanzia del Führer non fu esattamente rosea, ma costellata di elementi violenti indicativi per quello che in seguito sarebbe diventato.

Brevi cenni storici sulla Biografia di Hitler e conseguente sviluppo della personalità.

La figura di Alois Hitler, padre di Adolf, fu emblematica per quello che poi sarebbe diventato il Führer. Alcune fonti riportano che probabilmente, Alois, fosse figlio illegittimo di un ricco ebreo. Ebbe due mogli e due figli, solo in seguito contrasse matrimonio con Klara, la madre di Adolf, che a sua volta venne adottata da Alois Hitler quando ancora era sposato con la prima moglie, Anna. Con Klara, Alois, ebbe sei figli, dei quali solo due sopravvissero, Paula e lo stesso Adolf. L’infanzia del Führer, fu caratterizzata da un grande attaccamento nei confronti della madre, dal timore della solitudine e dall’idea di abbandono che si annidò in lui dopo la nascita del fratello e delle sorelle. A quanto pare ebbe un profitto scolastico altalenante, un po’ per i trasferimenti frequenti a causa del lavoro del padre, un po’ per la sua propensione verso quelle materie che non richiedevano uno studio nozionistico ed approfondito, quali la ginnastica e il disegno. Ma la scossa più grande per il giovane Adolf, avvenne alla morte della madre per quale nutriva una profonda devozione:
«Mi parve che il mondo intero mi fosse crollato addosso; mi ritrovavo senza la mia stella polare, a dover prendere le decisioni in prima persona…»
Le stesse parole non furono dedicate alla morte del padre, per il quale Hitler aveva un senso di repulsione, e ne criticava aspramente le condotte libertine, l’uso smodato degli alcolici ed il suo fare violento ed autoritario:«Non posso certo dire di aver provato un gran dolore…».
In seguito il futuro Führer si trasferì a Vienna, dove provò ad essere ammesso all’Accademia d’Arte, ma non vi riuscì. Iniziò a lavorare come manovale e a prender visione dell’ideologia marxista che non condivideva perché, antinazionalistica; così, iniziò a studiare per fortificare le tesi del suo pensiero e giustificarle. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale sia arruolò, e per la prima volta Adolf Hitler, si sentì parte di una comunità; la carriera nell’esercito gli conferì quell’idea di ”appartenenza” che prima non aveva mai posseduto; non era più l’uomo dismesso, sporco e precario; ora aveva un’uniforme ed una madre ideale per cui sacrificarsi: la sua nazione, la Germania. Il trampolino di lancio di Hitler, però, avvenne quando un ufficiale lo notò discorrere di politica con altri soldati, e notando le sue qualità oratorie gli venne dato l’incarico di ”istruttore di politica”. Questo fu l’inizio della crescita smisurata ed esponenziale della sicurezza di quello che sarebbe diventato il Führer. Da varie interpretazioni psicoanalitiche si evince come il modello in cui rientrerà Adolf Hitler sarà quello dello ”Psicopatico Nevrotico”.

Interpretazione psicoanalitica in Adolf Hitler.

Per il modello psicoanalitico classico, il mondo esterno degli adulti e l’elaborazione dell’altro nella fase adulta è prontamente condizionato in base al mondo dell’infanzia; partendo da questo assunto di base si può facilmente evincere come per Hitler, la casa, non fosse un luogo sicuro e questa insicurezza insorgeva a causa delle violenze continue del padre, Alois, verso la moglie ed i figli. Tutto il mondo sarà per lui un posto insicuro dal quale difendersi; per questo sentimento di insicurezza violento instillato nella prima infanzia ed alimentato dopo, anche in età adulta, Hitler non si identificò mai nel modello maschile di cui aveva timore, ma visse alla continua ricerca di quel modello mancante (il padre), non trovandolo mai. Hitler finirà per essere il modello di sé stesso, tanto da autodefinirsi in seguito ”Führer”, riferimento, per l’appunto.
Provando a dare un’interpretazione psicoanalitica il più esaustiva possibile, non è scontato prendere in considerazione come il primo processo di identificazione, nonché il primo modello di riferimento, per il giovane Adolf rientri proprio nella madre, Klara. Una fase in cui confluisce anche un senso di tradimento, in Hitler. Il senso del tradimento da parte della madre viene esacerbato attraverso due azioni emblematiche: la prima la scoperta di Hitler dell’intimità violenta fra i due genitori, un’intimità a cui la madre non si ribellava. La seconda la nascita del fratello più piccolo con conseguente azione dello spostamento dell’attenzione della madre al nuovo nato. Le reazioni di Hitler furono le classiche che le nozioni psicoanalitiche elencano: il distacco e lo spostamento su altri organi sessuali quali gli occhi e la bocca. Da qui nasce la curiosità per i nudi, l’egocentrismo verbale, il timore per il cibo ed il crescendo di un senso di colpa che lo portava al desiderio di bramare la morte del fratello più piccolo Edmund, nuovo oggetto di attenzione da parte della madre; da questo senso di colpa nasce un profondo rifiuto da parte di Hitler verso i processi cognitivi, e la considerazione che ogni processo mentale avesse un’accezione negativa, prese il sopravvento. La reazione del giovane dittatore fu il rifiuto totale di ogni attività intellettuale, non a caso in questo periodo si associano i cali di rendimento scolastico. Un altro degli elementi fondamentali della psicologia hitleriana è il timore della morte. I vari lutti che si susseguirono nel mondo infantile del piccolo Hitler, soprattutto la morte del fratello Edmund, portarono il bambino a considerarsi ”speciale”, poiché la morte non aveva preso anche lui. Nei nevrotici, il sentimento di essere ”speciali” o ”non comuni” è ridondante e persiste in età adulta. Hitler cercò la sua fase di riscatto inseguendo un’immortalità che pensava di avere, dapprima ponendosi come obiettivo quello di divenire il salvatore della patria germanica, ma vedendo che ciò non era possibile, si pose in antitesi cercandola come ”Grande Distruttore”. Un’altra chiava emblematica per l’interpretazione psicoanalitica della personalità di Hitler, fu senza dubbio l’insorgere di incubi. Pare infatti, che la sconfitta della Germania nella prima Guerra Mondiale portò ad Hitler una crisi isterica con imminente ricovero in ospedale con cecità e mutismo; da questa fase acuta, scaturirono in seguito incubi che alimentarono la sua paura della morte. In soggetti nevrotici con tendenze masochiste, possono nascere delle fantasie immediate e negative che recano conseguenti cambi di carattere. La fase dell’Identificazione/Proiezione è forse quella più significativa per la conseguente costruzione della personalità di Hitler: la personalità del dittatore, ”Grande Distruttore”, storicamente e socialmente condivisa. l’Hitler nevrotico, per sopravvivere ai propri timori deve liberarsi dal modello materno e sottomesso da lui inglobato sin dalla prima infanzia; la soluzione fu quella dell’identificazione con il padre e con un’immagine di lui quale Super-Uomo, potente e virile. Politicamente, riconoscendo in precedenza la Germania come ”Madre” ideale e simbolica, l’immedesimazione avvenne contro i nemici e gli aggressori della nazione. Qui scatta il tassello che permetterà la spiegazione di molti quesiti: La proiezione. In questi meccanismi, punto cruciale è trovare un nemico su cui proiettare questa violenza; Hitler conferì agli ebrei questo ”onore”, considerandoli aggressori e nemici della Germania. Perché proprio la comunità semita? Nel periodo passato a Vienna, Hitler aveva maturato l’idea che gli ebrei fossero la parte della società austriaca più corrotta; da loro aveva ricevuto elemosina, quando negli anni scapigliati austriaci non aveva lavorato. Ero nata in lui l’insano pensiero che gli ebrei aiutassero quella che era stata la sua parte debole a rimanere tale. Questo processo mentale crebbe in virtù del fatto che, Hitler, associava l’odio che provava verso il suo passato alla comunità ebraica. Dentro di sé iniziò a provare per gli ebrei lo stesso odio che aveva per il suo passato. Come gli ebrei aiutavano la sua parte debole a non evolversi, essi aiutavano anche la Germania a rimanere debole e passiva, e l’unica soluzione di questa ennesima associazione psicotica era l’abolizione degli ebrei stessi. Questo pensiero delirante ed a tratti psicotico che caratterizzava la personalità di Hitler, era alimentato dalle sue stesse convinzioni poiché, per l’appunto, era convinto di dover portare la Germania ad una supremazia assoluta e di riuscire in questa missione, laddove tutti gli altri a lui precedenti avevano fallito. Sua certezza insindacabile fu quella di esser stato mandato con una missione precisa: guidare la Germania per portare il popolo tedesco all’egemonia più assoluta, e sconfiggere l’ideologia marxista che cozzava con la sua idea di superiorità nazionalistica. Fu alla continua ricerca dell’immortalità, per questo ogni sua realizzazione, edificio o strada doveva essere possente per esercitare un effetto psicologico anche a distanza di anni, e negli anni, esser ricordato per la sua immortalità. Hitler fisicamente non era un uomo possente, tutt’altro; le fonti dell’epoca lo descrivono come basso, poco curato nell’aspetto, incurante dell’abbigliamento indossato, ma con una grande oratoria che ipnotizzava le folle, un carisma che aveva il potere di ipnotizzare tramite la parola. Sapeva agitare gli animi e scatenare gli entusiasmi, perché sapeva cosa dire e come dirlo. Il Führer conosceva gli assunti della Psicologia delle Masse, ovvero come i fenomeni collettivi hanno influsso sul comportamento dell’individuo. Nel 1895, infatti, Gustav Le Bon, con “La Folla: Studio della mentalità popolare” , pone le basi per la psicologia delle folle o delle masse. A quanto pare, il Führer e la sua vita erano avvolti nel mistero, tuttavia si hanno di lui delle immagini che stridono con l’immagine storica dell’Hitler comune; non mangiava carne, non beveva, non fumava, non aveva vita sessuale ma, in compenso, era dotato di un’enorme autodisciplina. Per lui ognuna di queste azioni era da considerare indicativa e relativa alle debolezze umane, a cui lui, si ergeva. Suo pensiero ricorrente era la Germania. Era mosso da un profondo amore per la gente umile, ed è facile imbattersi in fotografie del tempo in cui è raffigurato con cuccioli; a quanto pare il dittatore nutriva un profondo amore per gli animali. Era paziente e mite e coraggioso, a quanto pare, dalle testimonianze pervenute sui suoi atti eroici durante la Prima Guerra mondiale. Uomo dall’incredibile energia e resistenza con capacità di concentrazione poco comuni,dotato di grande memoria e di profondo senso di rispetto verso gli altri; pare non iniziasse a mangiare se tutti in sala non fossero stati serviti. Tuttavia, era anche un uomo scostante, disordinato, sempre in ritardo con timori assurdi quale la paura di dormire da solo, l’incapacità di prendere decisioni, e la presa in considerazione solo di lavori che lo aggradavano. Era solito risolvere i problemi all’ultimo momento: Hitler non era un introspettivo, e lasciava la risoluzione delle problematiche all’istinto, all’ispirazione che la sua voce interiore gli comunicava.

Interpretazioni psicoanalitiche famose sulla personalità di Adolf Hitler.

– Alice Miller, psicologa e psicoanalista svizzera.
Opere indicative sull’argomento: ”Riprendersi la vita. I traumi infantili e l’origine del male”, ”Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, ”La persecuzione del bambino”.

L’interessante interpretazione teorica che proviene dalla psicanalista Alice Miller studia ed esamina i maltrattamenti fisici e psicologici subiti da Adolf Hitler per mano del padre, Alois. Questi maltrattamenti, probabilmente, furono la causa e la motivazione che fecero scaturire in Hitler l’odio verso il genere umano. Secondo la psicoanalista polacca, dietro a un odio che porta ad una violenza così dilagante verso l’altro, esiste quel bambino umiliato che, un tempo, è stato l’individuo preso in esame, sopravvissuto attraverso la negazione dei suoi sentimenti di impotenza verso chi gli infliggeva quelle violenze. Ma, una volta stabilita questa negazione della sofferenza, si crea un vuoto interiore. Chi subisce questo genere di esperienza, non svilupperà mai una normale capacità di compassione: da qui i pochi scrupoli nel far del male a qualcun altro. Ciò deriva dal fatto che nell’infanzia di queste persone manca quella figura che per la Miller sarà il ”testimone soccorrevole”, una figura buona e consolatrice verso il bambino. Il bambino picchiato o che subisce violenza nei primi anni di vita prova un sentimento di forte timore e percepisce il genitore come ”cattivo”nei suoi confronti; ma, poiché le percosse gli sono presentate come fondamentali e somministrate per il suo bene, si crea una forte dissonanza fra ciò che il bambino sente ( cattiveria, ingiustizia) nella dimensione emotiva, e la sua dimensione cognitiva, ovvero come interpreta la realtà ( percosse fondamentali per il suo bene). La conseguenza di questo circolo coecirtivo, è ciò che Alice Miller definisce come ”cecità emotiva”, ovvero la totale mancanza di empatia che rende l’adulto vessato in precedenza, incapace, addirittura, di ricordare consciamente le percosse subite quando era un bambino.

– Sigmund Freud, Neurologo e psicoanalista austriaco,fondatore della psicoanalisi.

I dati analizzati e pervenuti dalla vita di Hitler sembrano confermare l’assunto classico della teoria freudiana: entrambi gli aspetti della teoria sul complesso edipico sono perfettamente sviluppati nell’Hitler bambino: attrazione verso la madre ed ostilità verso il padre. Il legame profondo di Hitler verso la madre e l’atteggiamento antagonistico verso il padre non arrivarono alla risoluzione naturale che avviene in ogni classico complesso edipico; Hitler non riusci ad identificarsi con il padre attraverso la formazione del Super – Io, superando l’attaccamento verso la madre.

– Erich Fromm, psicologo, sociologo, psicoanalista tedesco.
Opere indicative sull’argomento: ”Anatomia della distruttività umana”.

Con Fromm si assiste all’introduzione di un nuovo concetto per la spiegazione del carattere e del suo orientamento: La necrofilia. Per Fromm può essere descritta nel senso caratteriologico come la preponderanza ad essere attratti verso tutto ciò che è putrido, morto, malato. Il livore di trasformare tutto ciò che è vivo in ”non-vivo”; il distruggere per provare piacere attraverso l’azione distruttiva. Anche in Fromm, l’assunto di base nasce dalla teoria freudiana: gli impulsi di vita e di morte. La necrofilia emerge come risultato di una crescita ostacolata, impedita. A questo proposito Fromm, attraverso uno studio psicobiografico individua in Hitler un caso clinico di carattere necrofilo.

– Carl Gustav Jung, psicanalista e psichiatra svizzero.
Opere indicative sull’argomento: Odino, saggio 1936
La simpatizzazione verso le teorie naziste da parte di Carl Gustav Jung è nota ai più, così come le sue presunte posizioni di antisemitismo. Nel suo saggio del 1936, ”Odino”, Jung dice:

«Noi che siamo all’esterno giudichiamo i tedeschi troppo come se fossero agenti responsabili, ma forse saremmo più vicini al vero se li considerassimo come vittime».

E’ facile scorgere delle somiglianze con la politica dei tempi e con la figura di Odino come personificazione di Hitler. Tuttavia le osservazioni di Jung divengono più chiare dopo aver osservato Hitler e Mussolini a Berlino: «Rispetto a Mussolini, Hitler mi ha lasciato l’impressione di una sorta di impalcatura di legno coperta di vestiti, un automa con una maschera, come un robot o una maschera di un robot. Durante l’intera apparizione pubblica non ha mai sorriso; come se fosse di cattivo umore, imbronciato. Non ha mostrato nessun segno umano. ?»

– Walter Charles Langer, psicoanalista statunitense.
Opere indicative sull’argomento: ”La mente di Adolf Hitler. Il profilo psicologico in un rapporto segreto in tempo di guerra”.
Langer è famoso per aver elaborato nel 1943 uno studio sulla personalità di Hilter commissionato dai servizi segreti americani. Dall’analisi di alcune interviste e documenti e senza aver mai operato sul paziente Hitler, Langer definì il Führer uno psicopatico affetto da schizofrenia paranoide, probabilmente impotente e con tendenze omosessuali e suicide che, in seguito, risultarono vere. Langer formulò alcune ipotesi possibili sull’eventuale morte di Hitler: sarebbe potuto morire assassinato, in battaglia, impazzire, ma quella più probabile era sicuramente l’ipotesi suicida, ma secondo Langer indipendentemente da ogni esito finale, il comportamento di Hitler sarebbe risultato sempre più nevrotico; ciò che alimentava questo tipo di comportamento disfunzionale, era legato che, sentendosi progressivamente più vulnerabile sarebbero cresciuti i lati più crudeli della sua personalità. La previsione di Langer, fu che non potendo Hitler venir ricordato come il Salvatore della Nazione, colui che aveva portato la Germania alla Supremazia, continuerà la sua estensione verso l’immortalità ergendosi a Grande Distruttore; Adol Hitler si sentiva un Messia, messa a capo di quella Nazione tanto amata per una da una fatale provvidenza. Ma Hitler non era credente, e non si identificava con il Gesù che si immola sulla croce con sacrificio amoroso per salvare i suoi fratelli, bensì, si identifica nel Cristo fustigatore contro i mercanti del Tempio, quel Cristo che discaccia gli ”invasori” che inquinano la purezza di quel territorio sacro, nel suo caso la Germania, inquinata dagli ebrei. Langer lo classificò come Psicopatico Nevrotico alla luce, specialmente, dell’analisi del “Mein Kampf” (“La mia battaglia”).