Alda Merini e il disturbo bipolare: una poetessa tra genio e follia

Nasceva oggi a Milano il 21 marzo 1931 la poetessa degli esclusi, della vita vera, Alda Merini. Coincidenza significativa quella che ha portato a combaciare questo importantissimo anniversario di nascita ad accostarsi alla Giornata Mondiale della Poesia e al primo giorno di primavera. Il disturbo bipolare, la poesia, i manicomi, il canto dei diversi saranno una costante della sua vita.

Disturbo bipolare e genio

Nel 1947, Alda Merini, ha solo sedici anni; viene internata per la prima volta nella clinica psichiatrica Villa Turro diagnosticandole un disturbo bipolare. Il bipolarismo, detto anche psicosi maniaco-depressiva è una patologia caratterizzata da una alternanza anomala fra eccitamento/euforia (mania) e la depressione. Il disturbo bipolare può essere intervallato da episodi asintomatici. Il DSM IV scinde il disturbo bipolare in tre sottotipi: disturbo bipolare di I tipo, di tipo II e disturbo ciclotimico. La patologia è distinta in tre fasi: Fase maniacale, depressiva e mista.

  • Fase manicale: Durante questa fase il soggetto manifesta comportamenti disinibiti: tipico di questa fase è il ”Delirio di onnipotenza”, che spinge l’individuo ad avere comportamenti sociali inappropriati e a commettere azioni impulsive e talvolta pericolose anche per sé stesso. In altri casi il soggetto presenta un umore disforico con l’alternanza di rabbia e irritabilità. Le fasi possono essere maniacali o ipomaniacali.
  • Fase depressiva: Segue, generalmente, la fase maniacale. E’ caratterizzata da un tono dell’umore molto basso che può indurre il soggetto a gesti autolesionistici o, addirittura, al suicidio.
  • Fase mista: Fase di transito fra la maniacale e la depressiva, è caratterizzata dalla presenza simultanea dei sintomi depressivi e ipomaniacali.
Alda Merini - Photo Credits: globalist.it
Alda Merini – Photo Credits: globalist.it

I primi segni di bipolarismo compaiono nella tarda adolescenza, ma possono essere presenti anche in età adulta. Abuso di alcool e sostanza stupefacenti ne aggravano sintomi e decorso. I pazienti affetti da disturbi bipolare sono spesso spregiudicati, ingestibili, deliranti. Era il caso della poetessa Alda Merini, figura enigmatica e controversa, degna esponente di una patologia tanto delicata. Già da giovane aveva mostrato della fragilità; in seguito, sposata con quattro figlie venne nuovamente internata. Ai tempi non era ancora in vigore la legge Basaglia, quindi, i manicomi esistevano e con essi tutte le sofferenze e le violenze subite dagli internati che avevano la sfortuna di frequentare luoghi simili; oltre alle violenze, le imbottiture di psicofarmaci, le indelicatezze, il trattamento da esclusi, Alda subì numerosi elettroschock:


In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroschock Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.

Alda Merini in dettaglio - Photo Credits: albengacorsara.it
Alda Merini in dettaglio – Photo Credits: albengacorsara.it

Alda dirà con fierezza di essere la poetessa della vita, e non la poetessa della pazzia. Descriverà minuziosamente quegli anni senza rimpiangersi o piangersi addosso. Ci fa conoscere le umiliazioni ed i maltrattamenti inferti da parte di medici ed infermieri ledendo la libertà e l’umanità dei soggetti internati. Ciò avverrà nel libro ”L’altra verità. Diario di una diversa”, la sua prima opera in prosa a carattere autobiografico in cui la Merini narra i dieci anni di esperienza vissuti da internata in manicomio. I dottori che seguirono Alda Merini durante il decorso della sua malattia hanno sempre sostenuto che la creatività, la scrittura e la poesia fossero state gli unici unguenti atti a fronteggiare la patologia che la scisse più volte durante la sua vita. Emergevano contrasti nelle sue interviste, deliri, racconti di frammenti di vita che spesso non erano combacianti: a volte, appariva sfatta e tormentata, altre molto curata, truccata, adornata di monili. Sicuramente una sintomatologia manifesta da attribuire al bipolarismo. Alda Merini, dirà:


“Nelle malattie mentali la parte primitiva del nostro essere, la parte strisciante, preistorica, viene a galla e così ci troviamo a essere rettili, mammiferi, pesci, ma non più esseri umani. Così la mia bellezza si era inghirlandata di follia, ed ora ero Ofelia, perennemente innamorata del vuoto e del silenzio, Ofelia bella che amava e rifiutava Amleto”.

La Merini ha sempre creduto che la malattia mentale non esistesse: il manicomio, per la ”Poetessa dei Navigli”, era una nicchia da cui si proteggeva dal vero inferno che era fuori da quelle mura. Il vero inferno per Alda Merini, era fuori dal manicomio, dove sarebbe stata giudicata, criticata e non amata. E’ il 1979 quando Alda, torna definitivamente a casa, a Milano. Inizia la sua ”missione”, scrivere per raccontare le torture e i soprusi subiti. Scrive per raccontare dei suoi 46 elettroschock; fiera e combattiva si espone a numerose interviste e concede varie testimonianze di quel frammento di vita in cui cercavano con ogni forza di spegnere la sua memoria, non riuscendoci mai. Una delle sue ultime interviste, toccanti e delicate al contempo è quella fatta da Paolo Bonolis al Senso della vita: https://www.youtube.com/watch?v=ZTalQjqLyUY

Alda Merini e le sue poesie - Photo Credist: lifestar.it
Alda Merini e le sue poesie – Photo Credist: lifestar.it

Intellettuali, artisti e poeti da tutto il mondo l’hanno sempre acclamata. Spesso, il genio di una patologia così sottile ed esplosiva al contempo, è proprio la creatività che ne deriva. Paradossalmente, Alda Merini, ha tratto il meglio da una malattia socialmente invalidante. Qualsiasi psichiatra che l’aveva in terapia non disdegnò di configurarle del genio e la terapia stessa era proprio la scrittura. Un esempio di accettazione e trasformazione della sofferenza:


Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.